Qualche ora prima, grazie a un'amica testarda, mi ero ritrovata immersa in una nuvola di fumo della movida gay romana.
Estenuata da una giornata che aveva visto scorrere, nell'ordine, telefonate, litigi al lavoro, battaglia di palle di neve (vinta), panino al check in di Malpensa per un volo Milano-Roma ritardato di 3 ore, corsa al pronto soccorso e sangue di mia sorella.
Lasciato tutto ciò alle spalle, eccomi in pista.
Musica, caldo, fumo. Fumo, fumo.
Donne e uomini, gay ma non solo, che ondeggiando in gruppi compatti, difficili da penetrare.
Ci sono i fighetti, i fidanziatini, le checche, le checche-checche, e una serie di modelli di gruppi di lesbiche.
E noi, che vogliamo arrivare al bancone del bar, li dobbiamo superare tutti. Uno a uno.
"Spingi, vai!"
"Ci provo cacchio. Non riesco a muovermi..."
"Ma quella tipa? Mi ha guardato malissimo!"
"Lo so, non ci fare caso. Fa parte del gruppo delle lesbiche romane..."
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